sabato 23 gennaio 2010

Campioni dimenticati.

Cari amici,
Dopo il post spaziale della scorsa settimana, ristabiliamo la media con un post terra-terra. Il Bob a due, questo sport meraviglioso inventato nel 1880 ad Albany, nello stato di new york. Da subito molto amato dagli svizzeri. Disciplina olimpionica dal 1924. Vanta appassionati in tutto il mondo, tanto che esiste la nazionale jamaicana (ma cosa si sono fumati?). Non tutti sanno che si tratta di uno sport mooooolto pericoloso. Questo missile di latta con un equipaggio che va da due a quattro persone, viene lanciato in un percorso tortuoso in discesa, arrivando a sfiorare i 130 chilometri orari.
Ecco il tipico incidente di questo sport:




Lei è Gillian Cooke, atleta inglese che questo gennaio è diventata l'atleta di questa categoria più nota in assoluto. Tutto senza vincere una medaglia (la sua squadra è arrivata settima!), grazie a questo piccolo incidente e a qualche milione di maniaci sessuali che infestano youtube.
Vi sembra brutto, o sessista? Come vi pare!
A me sembra solo che il bob, come disciplina olimpionica, sia secondo in bruttezza solo al curling.
Se questa fosse una trovata pubblicitaria, sarebbe ben riuscita.

mercoledì 20 gennaio 2010

Eroi dimenticati


Da quassù la Terra è bellissima, senza frontiere né confini! (Yurij Gagarin)



Questa la frase equivalente al famoso “un piccolo passo per l'uomo, ma un grande passo per l'umanità”, pronunciata dall'astronauta americano Neil Armstrong, al momento dell'allunaggio della missione Apollo11 il 20 luglio 1969. Yurij Gagarin detiene il primato di primo uomo nello spazio, per aver effettuato un breve volo in orbita il 12 aprile 1961 a bordo della navetta Vostok1. La sua orbita ellittica completa intorno al pianeta, lo portò ad altitudini (302 km) mai raggiunte dagli esseri umani. A lui si deve il primo estasiato sguardo sulla superficie di nostra madre Terra e quelle parole stupite e commosse: “la Terra è blu… è bellissima!”, comunicate via radio alla base.
Gagarin vede per la prima volta quel pianeta azzurro che per noi è uno stereotipo, ma si perde anche in un altro drammatico luogo comune: per quanto fosse salito in alto, la terra era tutt'altro che senza confini. La sua avventura portava prestigio alla sua nazione, ma la sua nazione era in guerra. Una guerra nuova e ancora sconosciuta. Una guerra spettacolarizzata, ostentata in televisione sotto forma di incredibili imprese e progressi tecnologici, ma dietro le quinte sfavillanti, si nascondeva una scia di sangue che non aveva niente da invidiare alla seconda guerra mondiale, le cui cicatrici bruciavano ancora sulla pelle di migliaia di soldati privati della loro giovinezza e milioni di famiglie che hanno subìto carestie e privazioni per agevolare la nascita di questa forma estrema di allevamento umano che è il mondo come lo conosciamo oggi.
Gagarin non aveva -e non ha- colpe. Lui era il fortunato estratto in una schiera di almeno venti qualificatissimi candidati. Tutti piloti provetti, pionieri dell'aria e menti geniali. Gagarin non aveva colpe, ma ha pagato come tutti i suoi colleghi. Ha pagato lo scotto di un silenzio che non si può sigillare solo con un giuramento di segretezza, per quanto solenne. Lui come tutti i suoi colleghi in patria e quegli altri, i nemici, hanno visto il destino infame dei grandi eroi, che non sembrano essere tali senza un estremo sacrificio. Yurij Gagarin è morto soli sette anni dopo il suo fantastico volo. Un incidente, come tutti gli altri e come tutti gli altri, oltre l'amaro in bocca per la perdita di un personaggio incredibile, ha lasciato il sospetto del complotto.
Detta così, fuori dai denti, sembra proprio una banalità. Ma non lo è.
Pochi giorni fa si è conclusa l'inchiesta condotta da Igor Kuznetsov, colonnello dell'aviazione russa in pensione. La spiegazione è semplice: presa d'aria dimenticata aperta durante un volo ad alta quota, picchiata per evitare depressurizzazione, perdita di sensi dei piloti, impatto col suolo. Ci sono voluti quarant'anni per 'sta boiata?

Ma torniamo negli anni Cinquanta.

(immagine di Torre Bert tratta da www.lostcosmonauts.com)

Achille e Giambattista Judica Cordiglia
, radioamatori nostrani e pericolosamente simili agli scienziati pazzi dei romanzi del primo dopoguerra, con rudimentali apparecchiature autocostruite, puntarono il loro orecchio elettronico contro il cielo e quello che ascoltarono li fece profondamente rabbrividire. Tra i pianeti del nostro sistema solare, rimbalzano urla di dolore, pianti, rapporti-missione in cui la professionalità del pilota copre a stento il terrore di una morte atroce. Dal loro bunker sotterraneo, ribattezzato Torre Bert, i fratelli Judica Cordiglia e il loro team di volontari, ascoltarono centinaia di comunicazioni radio e riconobbero almeno 14 astronauti russi di cui la storia non farà mai menzione.
Tra questi, la prima donna nello spazio, soprannominata Ludmila. Partita dalla base russa nella primavera del 1961 a bordo della navetta Vostok.
Arriva in orbita, ma il suo scudo termico si è danneggiato in fase di decollo e non ci sono unità che possano raggiungerla, né lei è equipaggiata per recarsi all'esterno e riparare manualmente il guasto.
La sua scorta d'ossigeno è limitata e il suo rientro viene effettuato comunque. Una missione suicida. Di lei ci rimane l'ultimo disperato rapporto, ascoltabile in streaming qui. “ma non è pericoloso?…rispondete, ho caldo…vedo delle fiamme…sto morendo, ma questo il mondo non lo saprà…”
ed è proprio questa frase che darà il titolo al libro Dossier Sputnik. «...Questo il mondo non lo saprà...» di Achille e Gian Battista Judica Cordiglia, pubblicato alla fine del 2006 dall'editore Mariogros e reperibile qui.
Per approfondimenti sulla vicenda, visitate www.lostcosmonauts.com o affidatevi alla wikipedia!